Macron e Scholz dettano modi e tempistiche per gli incarichi di alto profilo in UE, noncuranti dell’esito delle Europee
Tra meno di un mese avrà inizio la X Legislatura europea, in concomitanza con la riunione plenaria del Parlamento Europeo che approverà – tramite voto – il nuovo Presidente della Commissione, indicato in prima battuta dai capi di Stato e di Governo che siedono al Consiglio.
Il nome caldo è sempre quello di Ursula Von der Leyen, già Presidente della Commissione ma anche politica esperta e sagace.
La recente riunione del Consiglio europeo, programmata con il mero fine di limare le posizioni sui candidati, si è conclusa non un nulla di fatto: i grandi d’Europa non hanno trovato la quadra. Ma è normale, proprio in virtù del carattere «informale» dell’incontro, che non ha lo scopo primario di deliberare sul futuro presidente; e che deve tenere conto del vaglio talvolta (im)prevedibile del Parlamento Europeo, proprio nei confronti del candidato indicato dal Consiglio.
Ciò che sappiamo per certo è il risultato emerso dalle Europee, che ha messo in crisi alcuni Governi più di altri, come Francia e Germania. La Francia, dopo che il Presidente Macron ha sciolto l’Assemblea Nazionale, si sta preparando al voto del 30 giugno, dunque al primo dei due turni previsti.
Nel mentre, la destra e la sinistra francese hanno serrato i ranghi per aumentare il consenso politico e i voti da parte dell’elettorato. È una situazione che a Macron non fa bene, perché spinge la Francia verso la «coabitazione», cioè, a una difficile convivenza tra il Capo di Stato e la maggioranza parlamentare.
A livello europeo, invece, il Presidente francese non tiene conto del voto europeo e insieme al cancelliere tedesco – Scholz, anche lui in grosse difficoltà politiche – vuole dettare l’agenda delle nomine apicali in seno all’Unione Europea, mettendo in secondo piano non solo il risultato delle Elezioni europee ma anche le richieste italiane, Paese fondatore dell’UE.
Meloni, al contrario, non si muove con la fretta impellente di chiudere la partita delle nomine, magari accettando quello che Francia e Germania hanno già apparecchiato.
Soprattutto ora, che ECR – il partito di cui Meloni è presidente – è divenuto il terzo gruppo politico per numero di parlamentari al Parlamento europeo, superando il partito Renew che fa capo a Macron. E questo significa che l’equilibrio politico del nascente Parlamento europeo sarà garantito e “puntellato”, nei prossimi cinque anni, anche dai voti dei parlamentari di ECR.
Diventa quindi rischioso, da parte di alcuni grandi paesi d’Europa, «Non guardare l’esito del voto» e far finta che nulla sia cambiato.