L’Iran dichiara conclusa la rappresaglia ma usa l’arma asimmetrica del caos per destabilizzare la regione
A seguito del pesante attacco iraniano su Israele, atteso da giorni e lanciato solo nella nottata di ieri, il ministro degli esteri della Repubblica Islamica dichiara concluse le operazioni difensive ma si dice pronto a rispondere a qualsiasi nuova minaccia. Il massiccio attacco ha arrecato pochissimi danni a Israele grazie all’avanzato sistema di difesa aerea “Iron Dome” che ha intercettato il 99% dei missili e droni lanciati dai guerriglieri armati dall’Iran e dispiegati in diverse aree della regione e all’intervento congiunto americano e britannico.
Sembra che nessuno voglia l’escalation, mentre da est a ovest arrivano condanne all’Iran e auspici su un cessate il fuoco e su un abbassamento del livello di tensione, che invece tanto piace a Teheran. La Turchia, a cui fu chiesto di mediare con l’Iran per evitare attacchi nei confronti di Israele, sta lavorando per evitare una escalation, al netto di uno “storico” riavvicinamento nei rapporti con la Repubblica Islamica. Erdogan non vuole cause umanitarie ai propri confini né che il conflitto si espanda in Libano, e l’Iran ben sa non può fare a meno dell’alleato turco, tra i pochi alleati nella regione. L’Arabia Saudita, ugualmente coinvolta nel processo di mediazione favorito dagli Stati Uniti, sembra essere più vicina alle posizioni occidentali, dopo aver “abbandonato” la causa palestinese.
La Repubblica Islamica, in ogni caso, conduce una politica di destabilizzazione nella regione, fatta di minacce, dichiarazioni roboanti e attacchi per lo più dimostrativi, come quello di ieri sera, perché è un paese isolato e ha necessità di “sentirsi al centro dell’azione”. Teheran è conscio che la guerra in Ucraina ha spostato risorse e mezzi occidentali concentrandoli nell’area del conflitto, e che agli Stati Uniti – ad ora - importa in modo particolare la situazione nell’area Asia Pacifico, tra Cina e Taiwan.
Nessuno ha risorse infinite e la Repubblica Islamica lo sa bene, un impegno americano in Medio Oriente sarebbe molto rischioso per Biden, soprattutto ora che fa campagna elettorale contro il suo predecessore - Donald Trump - le cui critiche ai costi umani ed economici delle guerre americane in Iraq e in Afghanistan hanno avuto risonanza tra gli elettori.
L’Iran usa il caos globale per affermarsi come potenza regionale, traslando il conflitto in Medio-Oriente in una guerra asimmetrica. Dalla presa di Gaza da parte di Hamas nel 2007, l’Iran è stato il principale mecenate del gruppo offrendo armi, strumenti di intelligence, tecnologie e risorse finanziarie pari a 300 milioni di dollari all’anno. E all'indomani del 7 ottobre, Teheran ha agito concretamente per aumentare il proprio profilo diplomatico: alcuni giorni dopo l'attacco di Hamas, il presidente iraniano Ebrahim Raisi ha parlato al telefono – per la prima volta - il principe ereditario saudita, Mohammed bin Salman, e a novembre ha partecipato in un vertice regionale a Riyadh.
«La combinazione di retorica, diplomazia e terrorismo che l’Iran ha abilmente impiegato dal 7 ottobre fa capire alcune delle sue priorità ideologiche e strategiche: la leadership iraniana vuole la distruzione di Israele e il trionfo del mondo islamico su quello occidentale, giudicato in declino. La portata della distruzione a Gaza ha dato nuova vita all’invettiva anti-occidentale e anti-israeliana di Teheran, che oggi esercita un nuovo fascino sul pubblico della regione, altrimenti indifferente verso la teocrazia sciita».